1984
Biella pensa al suo museo internazionale, i torrenti sono sempre più avvelenati e le prospettive per la ripresa economica sono meno rosee del previsto. Il 1984 è l'anno della conclusione della "lunga procedura burocratica per la formazione del consiglio di amministrazione dell'ente, appositamente costituito, che gestirà il «Museo etnografico per l'arte e culture extraeuropee»". L'iniziativa era stata avviata in virtù della donazione che il facoltoso impresario edile Ugo Canepa, grande appassionato e collezionista di arte precolombiana, aveva disposto a favore della Città di Biella. La straordinaria raccolta del donatore avrebbe trovato collocazione nella villa che fu di Guido Alberto Rivetti e che lo stesso Canepa stava già "riconvertendo" a polo culturale di alto livello. Malgrado le ottime premesse, però, l'operazione non ebbe l'esito voluto. Stando poi ai dati acquisiti con migliaia di prelievi effettuati dal Laboratorio di Igiene e Profilassi di Vercelli, "i torrenti Cervo, Elvo, Strona, Ponzone, Bolume e Oremo presentano lunghi tratti fortemente inquinati". E non stavano meglio le acque della roggia Marchesa e del rio Ottina dove si riscontrarono elevate quantità di cromo e di rame. Colpa delle fognature e delle industrie, ovvero delle acque di scarico non depurate e riversate nei corsi d'acqua. "Il Cervo subito dopo Andorno e fin oltre Vigliano ha una concentrazione di sostanze tossiche che non consentono alcun tipo di vita: non ci sono quindi pesci né flora acquatica". Il Biellese e il Vercellese erano anche una zona di piogge acide con indici rilevanti di anidride solforica in atmosfera prodotta dalla combustione della nafta pesante. Infine, il cav. Luigi Lucchini (1919-2013), imprenditore siderurgico e neopresidente di Confindustria, fu ospite dell'Assemblea dell'UIB. Il suo intervento fu improntato alla prudenza nel giudicare passata la crisi e iniziato il rilancio economico e produttivo dell'Italia. Sul tavolo c'erano anche problemi di carattere sindacale (non ultimo la sperimentazione delle 35 ore settimanali), la disoccupazione e i rapporti tra formazione e impresa. Rivolgendosi, infatti, agli industriali biellesi, il cavalier Lucchini volle indicare come strategico il "mettere gambe ad un progetto che porti la Confindustria ad interloquire con la scuola e l'università".
1985
Luciano Barbera fa un bilancio dell'anno appena trascorso rispetto al mercato americano. Il cambio dollaro/lira favoriva l'esportazione e, soprattutto, la penetrazione nel mercato statunitense. Ma la fortunata congiuntura internazionale non era l'unica ragione di quel buon momento: "Non ritengo che la ditta abbia potuto affermarsi sui mercati esteri solamente per questo motivo contingente; credo piuttosto che la politica da noi seguita di un'alta specializzazione nella qualità porti, oggi, a dei risultati tangibili. L'aver creduto in una determinata idea ed essersi adoperati sempre per raggiungere lo scopo prefisso ha dato alla nostra clientela la giusta immagine e dimensione della nostra ditta e del nostro prodotto. Sottolineo questo fatto perchè il mercato nord-americano si è sempre rivelato un mercato difficile per il superfine a causa di una certa impreparazione del compratore statunitense ad un discorso di altissima qualità". Queste le parole dell'imprenditore che nel 1992 aprirà sulla 5th Avenue a New York la "Luciano Barbera Co.". Analisi e riflessioni che, a trent'anni di distanza, sembrano per molti aspetti applicabili non solo al lanificio di Pianezze, fondato dal padre Carlo nel 1949, ma a quasi tutto il Biellese industriale che ha avuto e ha successo all'estero. "Tutti i nostri compratori sanno di dover pagare un prezzo per quello che acquistano che è elevato, ma che è in rapporto alla qualità e al servizio [...] I nostri tessuti sono destinati a un pubblico che non ama vestirsi di capi firmati ma possiede personalità e gusto tali da voler scegliere tra prodotti che permettano la valorizzazione della propria personalità [...] La nostra produzione non è tra quelle che hanno bisogno di una massiccia pubblicità ma è qualcosa di ricercato e ambito...".
1986
Con Giorgio Aiazzone muore gran parte del sogno e della realizzabilità concreta di un Biellese "diversamente imprenditoriale". Nato a Tollegno nel 1947, Aiazzone aveva fatto della vendita, anzi della televendita il canale privilegiato di un successo commerciale straordinario e alternativo al tessile. L'aereo che lo stava riportando a Biella in compagnia del pilota e di Clelia Allegretti, sostituto procuratore del Tribunale di Biella, si schiantò a Sartirana Lomellina e il grande "impero" costruito in pochi anni da Giorgio Aiazzone iniziò a sgretolarsi inesorabilmente. Dopo aver iniziato pubblicizzando i prodotti di falegnameria del laboratorio paterno, nel 1981 il geometra Aiazzone aprì a Biella il "Mobilificio Piemontese" e, in meno di cinque anni, realizzò una struttura efficiente e ramificata che contava su 160 dipendenti in tutta Italia e fatturava circa 60 miliardi di lire. Il "fenomeno" Aiazzone risultò essere una miscela vincente di audacia mercantile, di attitudine comunicativa e di capacità di cogliere e, in parte, di condizionare i cambiamenti dei comportamenti e dei modelli di riferimento della società italiana dell'epoca sintetizzati come causa/effetto dello sviluppo delle televisioni private. "Re Giorgio", il signore del "Provare per credere!", sfruttò al meglio le possibilità di convincimento e di fidelizzazione che le piccole emittenti locali (molte delle quali divennero di sua proprietà) e alcuni network nazionali potevano offrire. Lavoratore e motivatore infaticabile e presentissimo in azienda, Aiazzone seppe scegliere collaboratori e "volti" (primo fra tutti il Guido Angeli dei suoi spot che hanno fatto la storia della pubblicità) che gli consentirono di mettere in moto un meccanismo di richiamo verso Biella (circa 70.000 persone entrarono nel mobilificio di corso Europa solo nel 1985) che avrebbe beneficato tutto il territorio biellese.