1900
Vecchio e nuovo, locale e globale, tessile laniero e altre manifatture si incontrano idealmente al tramonto dell’Ottocento e all’alba del Novecento. Il Biellese si compiaceva della fortuna della sua industria laniera e dei progressi del suo meccanotessile, anzi si auspicava un incremento di entrambi i comparti, ma guardava a nuove possibilità di impiego di capitali e di forza lavoro, paventando scenari meno rosei. “Se si manifestasse una crisi nell’industria laniera, i danni per la popolazione biellese sarebbero enormi, assorbendo tale industria i due terzi dell’attività industriale biellese”. Diversificazione e flessibilità parevano essere buone carte da giocare nel futuro, d’altro canto era “necessario mantenere e accrescere la versatilità operosa del popolo biellese, la quale costituisce la sua forza speciale nell’interno ed all’estero. L’operaio biellese è dovunque bene accetto perché sa presto adattare l’opera sua ai diversi lavori ed alle più svariate industrie”. La produzione di attrezzi agricoli, di carrozze e di materiali ferroviari, le tipografie, le fabbriche di liquori, le raffinerie di zolfo, le fornaci per mattoni e tegole, l’ebanisteria, i mobilifici e una riscoperta della seta rappresentavano alternative credibili. Senza contare l’antica industria del cuoio. Giovanni Battista Serralunga, titolare della conceria nata nel 1825, si trovava allora a Parigi per rappresentare il Biellese e l’Italia in un “incontro al vertice” tra 120 industriali europei del settore convocati dalla “Società Tedesca dei Conciatori”, in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi. I giornali francesi riportarono le parole pronunciate dall’imprenditore biellese come “l’expression de tous ceux qui ont été portés par differents membres du banquet”.
1901
Il 1901 può essere eletto come l’anno simbolo dell’associazionismo nel Biellese: dapprima l’apertura della Camera del Lavoro, poi la costituzione della Federazione Circondariale del Biellese dell’Arte Tessile e della Lega Industriale Biellese, senza dimenticare che l’Unione Operai Pannilana era nata allo scadere del 1900 (così come la Federazione fra i Cotonieri) e che aveva inaugurato la sua bandiera il 28 luglio 1901. Nel novembre di quello stesso anno si formò pure l’Unione Generale Metallurgica Biellese. Formalmente costituita il 3 febbraio, la Camera del Lavoro di Biella fu inaugurata domenica 2 giugno 1901 con una grande partecipazione di popolo, bandiere e autorità. Il 9 giugno fu la volta dei tessitori e dei lavoratori tessili in genere (lanieri e cotonieri) che approvarono uno statuto federale definito per proteggere e promuovere la categoria. Il 4 luglio, invece, per iniziativa dell’imprenditore pollonese Felice Piacenza, fu sottoscritto l’atto fondativo della Lega Industriale Biellese, nata come “risposta” alle iniziative sindacali operaie territoriali nell’ambito delle aziende “che attendono alle industrie della filatura, tessitura ed affini, nel Circondario di Biella o nei Circondari finitimi”. Quest’ultimo sodalizio sorse senza clamore o annunci magniloquenti, con la consapevolezza di chi si aspetta più difficoltà che onori. In effetti, già nell’autunno seguente, la protesta delle tessitrici nel Lanificio Fratelli Cerruti per la questione del “doppio telaio” fu un primo severo banco di prova tanto per la Lega Industriale Biellese quanto per l’Unione Operai Pannilana (di ispirazione cattolica) e per la Camera del Lavoro di Biella (di connotazione socialista).
1902
Le pagine del romanzo “Il racconto del piccolo vetraio” di Olimpia De Gaspari (uscito per Paravia a Torino nel 1913) tramandano una storia purtroppo vera, una storia di miseria, di crudeltà e di tante infanzie negate che, a quanto pare, non risparmiò il Biellese d’inizio Novecento. Dalle colonne di “Biella Cattolica-Vita Biellese” dei primi di marzo del 1902, Alessandro Cantono (Ronco Biellese 1874-Biella 1959) denunciò il rischio concreto dell’inumana pratica del reclutamento di piccoli biellesi che, di fatto comprati da veri e propri trafficanti di esseri umani, finivano per essere condotti Oltralpe e impiegati nelle vetrerie industriali, attive soprattutto nella zona di Lione e del bacino della Loira. “Sappiamo che in alcuni dei nostri paesi, specie nei piani biellesi sono infiltrati di questi elementi, i quali promettono mari e monti ai genitori”, scriveva il Cantono, specificando che “in Francia i fanciulli e le fanciulle non si adattano a lavorare nelle vetrerie, perché i lavori sono troppo penosi, la vita faticosissima, i salari irrisori; allora questo personale si viene a reclutare in Italia”. L’allarme riguardava anche l’imprenditoria locale che doveva in qualche modo “proteggere” i giovanissimi operai biellesi. “Il Biellese ha lavoro per i suoi figli”, proseguiva il giornalista democristiano, “le nostre industrie possono, largamente sviluppate, bastare alle braccia dei nostri che vogliono lavorare. Non sia che le popolazioni biellesi, gente accorta e tutt’altro che sempliciona, si prestino a quest’opera di sfruttamento”.