News - 10/04/2014
1903
E’ avviato il cantiere della prima casa operaia della Filatura di Tollegno. Nel volgere di un quarto di secolo il “Villaggio Filatura” arriverà a contare “16 edifici residenziali, un edificio originariamente destinato a dopolavoro-sport club, un edificio adibito al piano terreno a spaccio e nei piani superiori originariamente destinato a dormitorio, un edificio per docce e un lavatoio”. Il maggior sforzo edilizio fu sostenuto dall’azienda tra il 1920 e il 1927, quando furono costruite 11 “palazzine”. Lo stabile del 1903 “ha due scale con due alloggi per pianerottolo. Ogni alloggio si compone di 4 vani con la cucina passante per gli altri vani e servizio all’esterno sul pianerottolo”. Tra il 1883 e il 1908 gli operai della Filatura di Tollegno erano passati da 40 a 600 e l’edificazione del villaggio si rendeva sempre più necessaria. Alla fine, il “Villaggio Filatura” è arrivato a contare 105 alloggi per un totale di 383 vani. “Considerando il dormitorio, di 300 posti”, poi riqualificato in asilo infantile per i figli dei dipendenti “si può ipotizzare che la popolazione insediata nel villaggio negli anni passati raggiungesse le 700 unità”. Il primo villaggio operaio del Biellese fu quello sorto a Miagliano attorno al Cotonificio Poma a partire dal 1870. Dopo l’esperienza tollegnese fu la volta di Vigliano coi villaggi Trossi e Rivetti negli anni ‘20, quindi a Trivero, per il Lanificio Fratelli Zegna di Angelo dagli anni ‘30. Nelle prime decadi del Novecento altre case operaie (non veri e propri villaggi) furono costruite anche in altre zone del Biellese, soprattutto in Valsessera.
1904
Giuseppe Gualino, ultimo esponente della tradizione orafa biellese, ristruttura la “Prima fabbrica dell’oro”, ma si prepara a costruirne una nuova. Il primo stabilimento, da lui voluto negli ultimi anni dell’Ottocento lungo l’attuale Costa di Riva, necessitava di interventi di manutenzione, ma lo sviluppo dell’azienda stava già imponendo di adibire spazi maggiori all’attività. Nel 1904, poco lontano dal primo sito produttivo e proprio ai piedi della scarpata digradante verso il Cervo, fu edificata la “Nuova fabbrica dell’oro” che andava acquisendo i caratteri e i “numeri” di una vera industria: oltre duecento addetti, decine di apprendisti, alberi e cinghie di trasmissione, una bella iscrizione liberty, un ampio cortile separato dall’allora via Lamarmora (oggi via Serralunga) da un muro di cinta e una sobria cancellata. Appena qualche anno dopo anche la “Nuova fabbrica dell’oro” si dimostrò piccola per la più che avviata ditta Gualino. Un altro edificio, la “Seconda fabbrica dell’oro” comparve oltre la via, sulla sponda del torrente. I preziosi manufatti di oreficeria e argenteria (illustrati in ricchi cataloghi di oggetti vari e di gioielli di ispirazione sacra o profana), realizzati a livello industriale, ma con cura artigianale, fecero la fortuna di un’importante realtà imprenditoriale. In quello stesso anno, l’ottavo figlio di Giuseppe Gualino si stabiliva a Casale Monferrato per investire nel settore cementizio. Quel venticinquenne che non voleva fare l’orafo come suo padre era Riccardo Gualino, destinato a diventare uno dei grandi protagonisti dell’imprenditoria, della finanza e della cultura dell’Italia del Novecento.
1905
Si avviano nuovi stabilimenti industriali e si fermano quelli in esercizio per mancanza di carbone. Nell’ultima parte dell’anno si mostrarono evidenti i margini di sviluppo e i limiti dell’industrializzazione biellese. Da un lato si salutava con soddisfazione la prossima apertura in Valle Mosso, ad opera dell’azienda “Reda Giovanni & Figlio”, di “un grandioso stabilimento per la fabbricazione dei tessuti di lana”. E, soprattutto, si celebrava l’inizio dell’attività di un complesso produttivo all’interno della stessa Città di Biella. I giornali scrivevano: “La Ditta Trossi e C., che prima eserciva nel vicino comune di Vigliano, ha fatto ora costrurre presso la stazione della nostra città un fabbricato moderno a sheed, ove ha trasportato il suo macchinario per la lavatura e tintura della lana, sfilacciatura e carbonizzazione degli stracci ecc.”. Inoltre, con un certo orgoglio di campanile, la stampa locale sottolineava che “nell’opificio già occupato dalla Ditta Trossi e C. a Vigliano si sta impiantando un’industria nuova per l’Italia: la pettinatura della lana. I tops attualmente impiegati nelle filature di lana pettinata sono esclusivamente di provenienza estera; fra pochi mesi anche l’Italia avrà il primo stabilimento del genere”. Era l’annuncio della nascita della Pettinatura Italiana di Vigliano. L’altra faccia della medaglia era la dipendenza energetica delle industrie nostrane dall’estero. L’acqua dei torrenti non era più sufficiente, l’energia elettrica ancora troppo poca. Il carbone doveva essere importato e la crisi determinata dai lunghi scioperi verificatisi nelle miniere gallesi, scozzesi e vallone, così come in quelle del bacino carbonifero della Ruhr, stava costringendo alla forzata chiusura di molte fabbriche biellesi che ebbero grandi difficoltà nel biennio seguente.